Salta al contenuto principale
  1. Scrivere/
  2. Filastrocche/
  3. Le avventure di Capitan Scoreggia/

Capitan Scoreggia e la vertigine

·425 parole·2 minuti

Nell’anno della bonaccia
dalla Cina all’intero mondo
è iniziata la caccia,
immobili, verso il fondo

di noi stessi. Nei porti casalinghi,
riflessi da liquidi schermi,
stavamo chiusi e guardinghi
contro l’invisibile, inermi.

Solo il vento, il mare
gli animali e l’erba avevano libertà
di movimento. E la terra acre,
di tolemaica fissità,

rendeva la mia intestina vivacità stagnante.
Speravano, alchimisti e dottori,
in un vaccino salubre ed edulcorante
che assopisse anche i malumori.

In solitaria nuove ondate affrontai
senza esperienza precedente,
una personale nave sì mai
avea governato ciecamente.

Tutti orbi, carichi di imprechi,
senza fiato e mascherati alla rinfusa,
pigiando forte su tasti biechi
senza il naso che annusa.

Di odore deficiente
Capitan Scoreggia muto
diventa. La soluzione, scientificamente,
è guarire l’umana specie ridandole il fiuto.

Dopo l’anno della bonaccia,
a singhiozzi e cautele
è ripresa la caccia,
togliendo le ragnatele alle vele

per navigare contro la risacca
e sentirsi ancora vento, mare, animali, erba.
Ma vuota restava la sacca
e nessuna ciurma, nemmeno la più acerba,

chiamava all’avventura.
Sconsolato, ma mai domo,
puzzolente in ogni fenditura,
ricercavo nuove occasioni per sentirmi nuovo uomo.

Grazie a un’antica amicizia infine,
mi chiamò una compagnia stralunata,
distante dal confine
del mondo per bene solo una manciata

di passi: in un porto
di montagna trovai rifugio
e occupazione, un rimedio al torto
del troppo tempo mogio.

Il solito orizzonte piatto
che dal ponte vedevo sul mare,
lasciava spazio, a un tratto,
alla vertigine inquieta di calcare.

Piccole foche fischiettanti
accompagnavano le giornate;
cetrioli e ubriachi pini marini abbondanti
concludevano le serate.

E io, impacciato e stitico,
gonfio d’aria in eccesso,
un rinnovato equilibrio mitico
trovai nel complesso:

ascoltando i consigli del nostromo, del quartiermastro
e della vedetta, osservai presto
mutare le mie mani da poetastro
in quelle di un pirata onesto.1

E adesso che la fine assaporo
di questa baraonda,
capisco di aver anche loro
che mi fan sponda;

perché quassù, in alto,
dove ho ritrovato una viscerale pace,
so che posso vedere, grazie a un salto,
l’amato mare che mai tace.


[1] “Mi guardai le mani. Cos’avevano di strano? Il capitano Barlow notò il mio sguardo e scoppiò in una sonora risata. «Le tue mani sono bianche come un agnellino e morbide come il sedere di un neonato», disse. «Non una cicatrice, non un graffio, non un callo. Dev’essere per tutti quei libri che hai portato. Nessun marinaio ha delle mani così, neanche un mozzo. Guarda le mie!»” (Larsson B., La vera storia del pirata Long John Silver, p. 62).

Il capitano Barlow secondo Midjourney.